RACCONTARE LA PROPRIA STORIA AI FIGLI
Da dove veniamo? Qual è la storia della nostra famiglia? Quanto è importante sentire di appartenervi?
Legami
Ogni famiglia ha i propri legami parentali, con nonni, zii, cognati, cugini, bisnonni… e porta con sé storie di un passato che spesso è anche molto lontano.
“Ti ricordi?…” viene detto tra i genitori, tra fratelli e sorelle, con una zia o con la nonna che tante ne ha viste…
Quel “Ti ricordi?” detto con nostalgia e divertimento, talvolta con amarezza e rimpianto, richiama un legame, esperienze vissute insieme, un passato condiviso. Richiede ascolto e reciprocità. Reclama un momento da dedicare a se stessi insieme all’altro, nel ritrovare un’esperienza e, soprattutto, un’emozione da riprovare insieme.
Ognuno di noi ha il desiderio – ma potremmo dire il bisogno – di sentire l’appartenenza ad una storia che non è solo personale. Una storia che fa parte della nostra memoria e della memoria dei nostri cari e che ha concorso alla nostra formazione.
Tutto questo naturalmente accade anche con gli amici, soprattutto i più cari, ma in questo spazio, pensando ai bambini, voglio focalizzarmi sulle storie famigliari.
I bambini sono curiosi della vita dei genitori
I bambini amano conoscere episodi del passato dei genitori, come sono stati da bambini, eventi della loro vita e della loro coppia. Anche aneddoti sui fratelli più grandi o su cugini, zii e altri parenti sono spesso fonte di stupore o di ridarelle varie.
Vogliono sapere molte cose, di quando loro non erano ancora nati e i vari parenti erano più giovani o addirittura bambini come loro adesso. Da piccoli, immersi nel loro naturale egocentrismo, fanno un po’ fatica a credere che gli altri (soprattutto la coppia dei genitori) esistessero già prima di loro.
Pian piano però, i bimbi, ascoltando queste narrazioni, si fanno un’idea di un tempo precedente, uno spessore di fatti, vite, esperienze ricche e diverse. Ascoltano volentieri i racconti delle “tradizioni” familiari, di riti che rivivono in determinate occasioni, come le festività o le ricorrenze.
Raccontare ai propri figli di sé
Parlare ai propri figli anche del passato è una buona modalità comunicativa per dar loro strumenti per conoscere meglio la propria realtà e se stessi. Si offrono loro le coordinate temporali, spaziali ed emotive che li aiutano ad orientarsi all’interno del proprio nucleo famigliare e parentale.
Mostrare ai figli le fotografie del passato: dei genitori, dei nonni, bisnonni, ecc., aprirà nelle loro menti molte curiosità. I bambini faranno domande, vorranno sapere di più, chiederanno di ascoltare racconti di vita e, man mano, arricchiranno le loro “mappe famigliari” sempre più chiare.
Comprenderanno meglio collegamenti, legami, episodi e passaggi di vita, anche di coloro che non ci sono più, ma che hanno fatto parte della loro storia.
Sono trasmissioni di eventi, saperi, emozioni, valori, catene di cause e conseguenze che hanno costruito e alimentano il “mito famigliare”, che nutre il loro immaginario.
L’album delle fotografie
Viviamo in un periodo altamente visivo, in cui l’immagine è continuamente prodotta e velocemente consumata, a volte senza lasciare traccia. Facciamo centinaia di fotografie digitali, che difficilmente stampiamo e che rimangono sì a disposizione, ma in una massa enorme e, spesso, caotica.
Il buon vecchio album delle fotografie viene un po’ dimenticato e, forse, non viene fatto per niente. Pensiamoci!
Prepararne uno con le fotografie dei propri figli (uno per ciascuno), dalla gravidanza, alla nascita, ai primi mesi e anni, è un dono meraviglioso.
È un regalo in prima battuta per i genitori stessi, che rivivranno quelle emozioni nella scelta delle foto, nello scrivere le date e i pensieri collegati. È un regalo prezioso per ogni figlio, da sfogliare insieme fin da piccolo, raccontandogli la sua storia, facendolo sentire prima atteso e poi accolto.
Aprirà la porta a mille domande e curiosità, a mille collegamenti e confronti, al riconoscere i propri cambiamenti pur nella continuità della narrazione. Lo scorrere del tempo acquista un significato nuovo per un bambino, in relazione al proprio passato, anche se breve.
Il senso di appartenenza
Tutto questo, in un tempo frenetico come quello attuale, proiettato verso il futuro, anche se prossimo, per garantire, ottenere, raggiungere obiettivi, potrebbe sembrare obsoleto.
Ma ripensare a ciò che è stato, recuperare il passato per comprenderlo e talvolta farci i conti ed accettarlo, è importante e salutare. Per guardare avanti e proseguire con consapevolezza e serena responsabilità.
Per tutti noi e soprattutto per i bambini, sentire di far parte di un insieme di persone affidabili e amorevoli, di un gruppo, dà sicurezza. Fa sentire accolti, partecipi e di meritare attenzioni, rispetto, amore.
Il “mito famigliare”, le tradizioni, i valori trasmessi, sono fondativi anche per la propria identità e preparano i piccoli a poter far parte di nuovi gruppi. I bambini incontreranno man mano nuove realtà: l’asilo, la scuola, poi la collettività intorno a loro, fino a quella sociale più ampia. Più avranno sperimentato l’accoglienza ed il senso di appartenenza, più si sentiranno sicuri di sé ed aperti all’incontro con l’altro.
Dalla famiglia al mondo
Il senso di appartenenza dei bambini si allarga man mano alle nuove esperienze vissute ed ai contesti che frequentano e in cui imparano a muoversi.
Per ciascuno di noi, la sicurezza in se stessi permette e favorisce il cambiamento, senza timori, con fiducia e curiosità. Permette di lasciare indietro qualcosa che non serve più, per accogliere, scegliere ed introiettare nuove scoperte e possibilità.
Sentirsi sicuri di sé aiuta ad aprire la porta al mondo esterno. Incoraggia verso nuovi incontri, la scoperta delle diversità di ciascuno, il confronto con altre realtà e culture, la tolleranza e la partecipazione. Aiuta ad aprire la mente ed a trovare valori comuni e condivisi anche con persone molto diverse da noi.
Coltivare queste possibilità e valori da trasmettere ai bambini parte anche dal racconto del passato e da un “semplice” album di fotografie, come occasione di crescita.
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L’esperienza di apprendimento mediato
In questo articolo mi sono ispirata al criterio di mediazione usato nel Metodo Feuerstein e che si chiama: “Mediazione del sentimento di appartenenza”.
Sono tredici i criteri di mediazione fondamentali per costruire una esperienza di apprendimento mediato (EAM) da parte di mediatori certificati dal Centro Feuerstein di Gerusalemme.
Un mediatore formato con questo metodo segue e utilizza i criteri di mediazione, come guide interiori per accompagnare la persona nel proprio percorso di miglioramento. Cura la scelta degli stimoli, delle modalità comunicative e formative più adeguati, con uno stile educativo basato su una relazione rispettosa, responsabile e consapevole. Usa questi parametri per mediare tra la persona e il suo ambiente con obiettivi legati sia ad un migliore apprendimento che ad una crescita emotiva e personale.
Ogni buon educatore, genitore, insegnante, può riflettere su questi aspetti, nel portare avanti i propri principi educativi e svolgere al meglio il proprio compito.
Nei prossimi articoli proseguirò parlando anche degli altri criteri che vengono utilizzati.
Qui avete il link all’articolo sul Metodo Feuerstein:
https://www.educazionequotidiana.it/leducazione-non-ha-eta/il-metodo-feuerstein/
28 gennaio 2021
Vi metto il link al prossimo articolo, collegato e complementare a questo: https://www.educazionequotidiana.it/quante-emozioni/ogni-bambino-e-una-persona-unica-e-irripetibile/
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